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Cristiana Di Stefano Forum  |  General Category  |  NOTIZIE E CURIOSITA' SU...  |  Farmacovigilanza (Moderatore: cristiana)  |  Discussione: Attenzione ai Bifosfonati 0 utenti e 1 Utente non registrato stanno visualizzando questa discussione. « precedente successivo »
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Autore Discussione: Attenzione ai Bifosfonati  (Letto 329 volte)
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« inserita:: Settembre 07, 2009, 12:24:57 pm »

I bifosfonati per via iniettiva associati a nefrotossicità

I bifosfonati trovano indicazione nel trattamento dell’osteoporosi postmenopausale, ipercalcemia associata a malattia neoplastica, e nelle metastasi ossee osteolitiche.

I bifosfonati per os sono principalmente impiegati nel trattamento dell’osteoporosi in postemenopausa, e non sono associati a significativa nefrotossicità.
Al contrario, la nefrotossicità, sia dose-dipendente e tempo di infusione-dipendente, è un significativo fattore limitante l’uso dei bifosfonati per via iniettiva.

I due principali bifosfonati per via endovenosa disponibili negli Stati Uniti per il trattamento dell’ipercalcemia correlata al tumore e della malattia ossea osteolitica sono lo Zoledronato ( Aclasta, Zometa ) e il Pamidronato ( Aredia ).
La nefrotossicità, descritta con questi due farmaci, consiste, rispettivamente, in necrosi tubulare acuta tossica e glomerulosclerosi segmentale focale.

La grave nefrotossicità da questi due bifosfonati può essere evitata monitorando accuratamente i livelli di creatinemia prima e durante il trattamento, ed aggiustando i dosaggi nei pazienti con preesistente malattia renale cronica.

Nei pazienti con osteoporosi postemenopausale, lo Zoledronato e il Pamidronato sono associati ad un significativamente minore incidenza di nefrotossicità, dovuta ai più bassi dosaggi impiegati e ai più lunghi intervalli di somministrazione.

L’Ibandronato ( Boniva ) è approvato negli Stati Uniti per il trattamento dell’osteoporosi in post-menopausa, e in Europa per il trattamento dell’osteoporosi postmenopausale e per la malattia ossea associata ai tumori.
I dati disponibili stanno ad indicare che l’Ibandronato ha un sicuro profilo renale senza evidenza di nefrotossicità, anche nei pazienti con anormale funzione renale al basale. ( Xagena_2008 )

Perazella MA, Markowitz GS, Kidney Int 2008;74:1385-1393

Fonte: Osteoporosi.net
xagena.it
MedicinaNews.it

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« Risposta #1 inserita:: Settembre 07, 2009, 12:29:26 pm »

I bifosfonati possono causare osteonecrosi della mandibola nei pazienti con osteoporosi

Il Los Angeles Times ha riportato l’intervista a Thomas B Dodson, un chirurgo del Massachusetts General Hospital a Boston negli Stati Uniti, riguardo al rischio di ostenecrosi della mandibola con i bifosfonati, farmaci comunemente utilizzati nel trattamento dell’osteonecrosi.

La maggior parte dei pazienti che va incontro ad osteonecrosi della mandibola soffre di tumore ed è stato trattato con i bifosfonati per via endovenosa; l’incidenza di ostenecrosi in questi pazienti è di 1 su 10.

I bifosfonati aumentano la densità ossea, riducendo la perdita ossea. Proprio per il loro meccanismo d’azione, i bifosfonati possono alterare la capacità della mandibola a guarire dopo un’estrazione dentaria o un impianto dentale.

L’osso mascellare metabolizza in modo più veloce rispetto ad altri tessuti ossei. I bifosfonati inibiscono le cellule che riassorbono l’osso, alterando il naturale bilanciamento tra osso che si riassorbe e osso che si forma, facendo prevalere le cellule che formano il tessuto osseo.
Ma quando quest’ultime muoiono ci sono poche cellule per sostituirle; pertanto rimane una massa di cellule morte.

Le procedure dentarie aumentano il rischio di osteonecrosi perché causano dei traumi alla mandibola.

Pertanto le donne che devono essere trattate con bifosfonati dovrebbero sottoporsi prima di iniziare il trattamento a cure dentarie.
Qualora la donna stia assumendo un bifosfonato da almeno 3 anni, è opportuno far trascorrere un periodo di 3 mesi senza trattamento prima di sottoporsi ad intervento chirurgico dentale.

L’osteonecrosi della mandibola si può manifestare come sensazione di osso esposto in bocca. Nel caso di comparsa di dolore, e l’area dell’osso esposto è piccola, ci si può avvalere dell’intervento del dentista .
Qualora, invece, l’area risulti estesa è necessario un intervento chirurgico in modo da evitare il rischio di rottura della mandibola. ( Xagena_2008 )

Fonte: FarmaciaOnline.net
xagena.it
MedicinaNews.it

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« Risposta #2 inserita:: Settembre 07, 2009, 12:36:40 pm »

Fonte: ILSOLE24ORE.COM  20/02/08

Osteoporosi: attenti ai bifosfonati
di Rosanna Mameli

Si sta verificando nel nostro Paese una riduzione dei casi di nécrosi dell'osso della mandibola, una condizione clinica a lungo sottovalutata benché grave e invalidante. Lo annuncia Francesco Di Costanzo, primario dell'unità operativa complessa di oncologia medica "Careggi" di Firenze, che attribuisce la riduzione al lavoro del gruppo scientifico voluto dalla Regione Toscana e coordinato dallo stesso per lo studio della relazione tra i farmaci detti bifosfonati e tale osteonecrosi. Ma, nonostante si stia con ciò diffondendo la consapevolezza di tale relazione, è in aumento in Italia il consumo di tali medicinali perché vengono sempre più largamente prescritti per la prevenzione dell'osteoporosi alle donne che entrano in menopausa.

<<Come se questa patologia fosse drammaticamente aumentata nel nostro Paese e con tali prescrizioni si evitassero chissà quante fratture>> dice Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche "Mario Negri" di Milano. Da uno studio condotto all'Università di Tampere (Finlandia) e pubblicato il 17 gennaio 2008 sul British medical journal emerge che otto fratture su 10 avvengono in persone che non hanno osteoporosi e che la causa di nove fratture su 10 è una caduta per cui non si può prevenire con farmaci. Un altro studio, dovuto a ricercatori dell'Università di Newcastle in Australia, rileva che per prevenire una sola frattura vertebrale potrebbe essere necessario trattare farmacologicamente per tre anni fino a 270 donne in stato di preosteoporosi.

<<Un uso così indiscriminato di tali farmaci - prosegue Garattini - sembra inutile, se non dannoso, perché non sono privi di effetti tossici. Nel caso di assunzione per via orale gli effetti collaterali possono essere ulcere esofagee e gastriti, dermatiti, febbre, diminuzione dei globuli bianchi, congiuntiviti, aritmie cardiache, ipocalcemia. Quello più temibile, anche se apparentemente raro, è l'osteonecrosi mandibolare, attribuibile allo stimolo molto forte esercitato da questi farmaci sul tessuto osseo che nella mandibola è in continuo rimodellamento per la presenza dei denti. La situazione necrotica può anche rimanere non conclamata finché non sia complicata da alterazioni gengivali o dentali e scarsa igiene, che facilitano la penetrazione di batteri nella matrice ossea dando luogo a processi settici e fistole. Non sappiamo quali conseguenze possa avere a lungo termine la modifica del tessuto osseo che questi farmaci provocano: il timore è che possa condurre alla necrosi di altre ossa>>.

L'allarme è stato lanciato fin dal 2005 dalla Food and drug administration statunitense (Oncologic drugs advisory committee background sheet). E i produttori dei farmaci hanno segnalato nel 2004, con lettere informative ai medici e con un'avvertenza inserita nella scheda tecnica del medicinale, il rischio di questo effetto collaterale che spesso si manifesta dopo un trattamento odontoiatrico. Ma ancora l'anno scorso i medici all'oscuro del problema erano così numerosi che non solo la Regione Toscana, ma anche la Regione Piemonte ha deciso la creazione di un gruppo scientifico per informare il personale sanitario, oltre che per chiarire il meccanismo (ancora incompreso) e ricercare i rimedi.

I bifosfonati, detti anche difosfonati, utilizzati in passato nella produzione di detersivi e dentifrici, oltre che in agricoltura, dal 1990 si usano come farmaci per il trattamento di metastasi ossee e dell'osteoporosi. Processi metastatici con erosione dell'osso possono venire contrastati e attenuati, con consolidamento dello stesso, riduzione delle fratture patologiche e del dolore, somministrando bifosfonati ad alto dosaggio per endovena in associazione con la chemioterapia. Dato il metabolismo lento di ricambio dell'osso, basta somministrarli una volta al mese per raggiungere lo scopo.

Vengono prescritti anche, in dosi minori, per il trattamento dell'osteoporosi a donne in menopausa o in condizione patologiche associate a depauperamento del tessuto osseo (alcune malattie renali o paratiroidee). Studi clinici hanno dimostrato la loro efficacia in persone ad alto rischio per tali patologie. Ma non è ancora chiaro, secondo Di Costanzo, se questi composti possano, con somministrazioni a lungo termine, essere efficaci nella popolazione che non ha elevato rischio di fratture, per ridurre quello di osteoporosi grave e di successive infrazioni tipiche degli anziani.
Secondo i ricercatori australiani dell'Università di Newcastle è stato trasformato in malattia quello che è soltanto un fattore di rischio, al solo scopo di vendere test e medicinali a persone relativamente sane. Concordano Di Costanzo e Garattini, che spiegano l'elevato consumo di questi farmaci in ambito non oncologico con la straordinaria pressione esercitata sui medici dall'industria farmaceutica tramite gli informatori scientifici. <<I medici, di fronte a tale bombardamento – aggiunge il direttore del "Mario Negri" - reagiscono come farebbe qualsiasi comune mortale: li prescrivono. Se le industrie spendono per la promozione fino al 30% del prezzo del farmaco, vuol dire che hanno un ritorno adeguato>>.

Il guaio è che, come tutti i medicinali, anche questi possano avere effetti collaterali. Per qualche tempo sono stati ritenuti a rischio di osteonecrosi mandibolare i soli pazienti oncologici, perché tale necrosi era stata descritta per la prima volta nel 2002 all'Università di Miami in un paziente con metastasi ossee. Ma da una revisione di casi pubblicata nel 2006 sulla rivista scientifica "Annals of internal medicine" è emerso che su 368 casi associati all'assunzione di bifosfonati, il 4% riguardava donne che assumevano tali farmaci per via orale per il trattamento dell'osteoporosi. Altri studi riferivano percentuali diverse, attribuibili alle differenze nella cura del cavo orale che hanno le popolazioni di località differenti.

Oggi si stima un'incidenza compresa tra il 4% e il 5% nei pazienti trattati ad alto dosaggio per via endovenosa. Ma, anche se la dimensione del pericolo varia in base al bifosfonato assunto, ai fattori di rischio del paziente (impiego concomitante di farmaci, malattie, e altro) e alla situazione del cavo orale, sembra prudente considerare a rischio di osteonecrosi della mandibola tutti i pazienti che assumono bifosfonati, secondo l'American association of endodontists.

<<Così com'è prudente - afferma Garattini -, quando non si hanno dati sufficienti per definire il rapporto rischio/beneficio, limitare l'uso del farmaco ai casi di indiscussa necessità, sospendere la somministrazione in vista di un trattamento dentale e ricorrere per gli altri casi alle alternative disponibili. Per la prevenzione dell'osteoporosi diversi studi hanno provato l'efficacia di Calcio associato a vitamina D. Ma non si usano perché costano pochissimo>>
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« Risposta #3 inserita:: Settembre 07, 2009, 12:40:50 pm »

06/09/09

Osteoporosi: ma i farmaci che la curano sono gravemente tossici?

Le donne in menopausa hanno imparato a fare la conoscenza con i bifosfonati, farmaci utilizzati per contrastare l’osteoporosi che si manifesta durante la menopausa e con i quali queste pazienti traggono sicuri benefici nel decorso della malattia.

Ma se oggi si parla di bifosfonati è per un’altra ragione, ovvero, quella di determinare l’eventuale tossicità di questi farmaci atteso che chi li assume dovrà farlo per periodi lunghissimi, spesso per tutta la vita. Secondo i recenti studi effettuati sui bifosfonati sarebbe emerso che i pazienti che ne fanno uso privilegiando la via di somministrazione orale, non soffrono di particolari effetti tossici da parte di queste molecole.

 
Ben altra sarebbe la situazione invece per quei pazienti che a seguito di ben altre patologie sono costretti ad assumere i bifosfonati per altra via, in particolar modo iniettiva per lassi di tempo abbastanza lunghi. In questi casi uno studio recente riporta la possibilità di grave nefrotossicità di queste sostanze farmacologiche dipendente anche dalla dose e dal tempo di somministrazione.

 
Per via endovenosa si utilizzano i bifosfonati per trattare per lo più l’ipercalcemia dipendente dal tumore alle ossa ed in questo caso un numero significativo di pazienti è andato incontro ad una grave necrosi tubulare tossica acuta, o ad una glomerulosclerosi segmentale focale.

 
Parliamo di due situazioni cliniche molto gravi che spesso risultano incompatibili con la stessa vita del paziente e che portano ad arresto della funzionalità renale. Secondo gli studiosi che hanno effettuato lo studio, tali gravissime controindicazioni dei bifosfonati iniettabili sono scongiurabili monitorando con grande attenzione i livelli di creatinemia nel sangue, prima e durante il trattamento al fine, eventualmente, di provvedere ad un aggiustamento della posologia o ad una sospensione completa del farmaco. Il fatto che nella terapia dell’osteoporosi post menopausale non si determinino gli stessi gravi effetti collaterali è solo dovuta al fatto che il dosaggio impiegato in questi pazienti è sicuramente più basso e l’intervallo fra una somministrazione ed un’altra sicuramente più ampia.

Perazella MA, Markowitz GS, Kidney Int 2008;74:1385-1393

Fonte: tantasalute.it
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