Sabato 15 Ottobre 2011 Scritto da Liliana Blanco L'esposizione al mercurio l'ha ucciso
Morto per intossicazione da mercurio
sentenza storica per la famiglia di un operaio
Gela - Da anni c’è il sospetto che alcuni impianti del petrolchimico di Gela siano la causa delle morti per cancro che non si contano in città. E oggi è stata resa nota una sentenza emanata il 30 marzo 2011, dal Giudice del lavoro Dott. Luca Solaini presso il Tribunale di Gela che riconosce che l’esposizione prolungata nel tempo al mercurio ha causato la morte di Francesco Esposito Paternò, operaio dell’impianto Clorosoda chiuso da quasi 20 anni col sospetto di avere causato la morte di una quindicina di lavoratori e smantellato per consentire la bonifica del terreno dal mercurio altamente tossico e inquinante.
Una sentenza storica che punta il dito contro uno degli impianti più pericolosi il "Clorosoda" del petrolchimico di Gela che si è guadagnato l’appellativo di "impianto killer", con la quale è stato riconosciuto per la prima volta che l’impianto è responsabile della morte di un dipendente. L’istanza è stata presentata nel dicembre del 2006, subito dopo la morte dell’operaio gelese e mirava ad ottenere il riconoscimento dell’indennità per la malattia professionale in vita di Esposito Paternò. La sentenza accoglie il ricorso e, per , l’ effetto, condanna l’ Inail nella persona del legale rappresentante a riconoscere in favore di Ignazia Piranò nella qualità di vedova di Esposito Paternò Francesco la rendita di reversibilità.
Il giudice si è avvalso del parere del consulente tecnico d’ufficio che evidenzia l’ idrargirismo ovvero l’intossicazione cronica da mercurio. L’evaporazione del mercurio a 20°C è rapidissima e comporta dispersione di polveri dei suoi composti nell’aria. L’esposizione può avvenire per inalazione continuata di polveri o vapori o per assorbimento cutaneo protratto del metallo attraverso l’assorbimento di microdosi di mercurio. La sentenza riconosce la malattia a carattere professionale che causa la perdita dei canini e degli incisivi. Dall’agenzia Internazionale per le Ricerche sul Cancro (IARC) di Lione si evince che tra gli scarti di lavorazione o sottoprodotti della filiera del ciclo vengono inclusi il CVM, CVC ed il PCB che rappresentano sostanze che favoriscono l’insorgenza di patologie cancerogene per l’uomo.
“L’esposizione con rischi professionali ( sostanze chimiche) – dice la sentenza - potenzialmente idonea a determinare una neoplasia polmonare in associazione alla miscela complessa rappresentata dal fumo di tabacco, inalato per parecchi anni dal de cuius, ( una cinquantina di sostanze chimiche contenute nel tabacco sono state riconosciute cancerogene) che aumenti il rischio dovuto ad altri fattori professionali in maniera esponenziale, ha prodotto effetti combinati di tipo additivo e/o moltiplicativo nella realizzazione della patologia neoplastica che si è manifestata con un intervallo dall’ inizio dell’ esposizione di 20 anni.
Si ritiene pertanto che nel caso di specie la lavorazione nel reparto clorosoda abbia potuto aggiungere un quid pluris in grado di realizzare se non un rischio specifico certamente un rischio generico aggravato, inteso come quel rischio che incombendo su chiunque, specie fumatore venga a gravare in modo maggiore sul lavoratore che svolge determinate mansioni con insorgenza di malattie correlate al lavoro”. Il giudice, nella sentenza ha evidenziato anche il contatto degli operai con le fibre di amianto presenti nei nastri trasportatori e quindi l’inalazione. “Oggi è stato abbattuto un muro che durava da troppo tempo – ha commentato il figlio dell’operario, Daniele Esposito Paternò - il muro dell’ ingiustizia.
È inammissibile e offensivo per la dignità dell’ uomo che avendo i morti, avendo i malati affetti da patologie più o meno gravi, avendo le testimonianze verbali e cartacee, sentire dire nelle aule dei tribunali che il clorosoda fosse un luogo sicuro per gli operai. Pertanto è un dovere morale per il comitato nell’interesse dei singoli individui e dell’ intera comunità chiedere giustizia nelle sedi adeguate nei confronti dei colpevoli!” . "Dopo questa sentenza – dice Franco Iraci componente del comitato - la battaglia per avere giustizia si farà più serrata".” La morte del capoturno del reparto clorosoda Francesco Esposito Paternò, di 56 anni, ha aperto una maglia perché da quel giorno si è costituito un comitato che contava circa settanta persone allora e ne conta 400 oggi e che combatte per i diritti dei lavoratori: oggi la prima vittoria.
La sentenza è stata emessa nel marzo scorso ,ma dopo la registrazione e l' avvenuta notifica all'Inail è stata comunicata ai parenti. Una vittoria che non ha ridato la vita a Francesco Esposito Paternò ma ha ridato speranza a 400 persone del comitato spontaneo "Ex lavoratori del Clorosoda" composto da operatori dell'impianto e personale degli impianti di manutenzioni. Molti sono stati gli operai del Clorosoda morti; alcuni di loro, quelli rimasti vivi, accusano patologie che sarebbero causate dalle sostanze inquinanti con cui sono venuti a contatto nell'impianto: mercurio, cloro, idrogeno solforato, dicloroetano, potenti campi magnetici ed altro.
Un operaio trasferito dal Clorosoda ad un altro reparto 30 anni addietro,ed oggi in pensione ha scoperto attraverso le analisi che nel suo sangue è stata rilevata la presenza di 154 microgrammi/litro di mercurio che produce effetti devastanti e non può essere espulso una volta entrato in cicroclo. Ad un altro dipendente, operato alla vescica, al fegato e al colon, l'Inail ha riconosciuto appena l’ 11% di invalidità per il danno causato dal mercurio ma solo ai denti. 'Eni continua ad affermare che l'impianto ha sempre lavorato in sicurezza e senza rischi per la salute.
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